Nella Torino capitale di Giulia di Barolo, troviamo due mondi
diversi, più estranei che ostili.
Una parte di Torino presenta edifici regolari, strade spaziose e pulite,
passeggi ameni, comodi e bellissimi portici, magnifici caffè. Personaggi
come Cavour e d'Azeglio passeggiano sotto i portici di via Po, ma non
raggiungono il malfamato quartiere del Moschino.
I torinesi che si incontrano al Caffè Fiorio e discutono di economia e di scienze sociali, oppure frequentano l'aristocratico caffè San Carlo, il Vassallo o il Madera, abbonato a ben 110 giornali, non entrano nelle numerose, e assai frequentate, bettole disseminate in tutta la città.
Borghesi e aristocratici evitano ampie zone della città,
dove la stessa polizia non si reca volentieri.
Nel Moschino, in Vanchiglia, in borgo Dora, nel reticolo di viuzze intorno
al Municipio e alla piazza Palazzo di Città vive ammassata la popolazione
più povera e numerosa. Il degrado sociale e ambientale di vaste
zone del centro urbano è presente non soltanto a Torino ma in tutte
le città europee.
Quando, nel 1848, Torino diviene capitale di un regno costituzionale, conta 136.849 abitanti, spesso inurbati di recente alla ricerca di un’occupazione anche precaria o del sostegno della carità. Una parte cospicua di essi conserva mentalità e abitudini contadine, è sottoalimentata, analfabeta, dalla vita breve e stentata, fatta di espedienti, accattonaggio, prostituzione e di una miriade di piccoli reati.
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